I lidi ferraresi sorti più recentemente hanno usufruito di una pianificazione più o meno riuscita e controllata, mentre le prime stazioni sono nate senza una programmazione precisa, per germinazione spontanea ed hanno raggiunto ora, pur dopo numerose crisi, un discreto successo ed una buona fama internazionale. Le crisi sono state generate dall’eutrofizzazione, tra cui la peggiore è stata quella dovuta all’inquinamento da mucillagine nel 1988; sono state procurate dalle ripetute crisi petrolifere e finanziarie, ma attraverso esse si è imposto un modello di vacanza familiare, impostato sulla seconda casa, che ha incontrato un discreto successo. Il nuovo modello è sorto dalle crisi finanziarie stesse, poiché si è incentrato su uno schema di investimento dei piccoli capitali privati che ha trovato sfogo nella casa di vacanze, dopo la diffusione della proprietà della prima casa e l’allargamento dei redditi, dilatatisi dagli anni sessanta e settanta, che non trovava sfogo nell’investimento edilizio urbano, bloccato per decenni dal sistema dell’equo canone (GALVANI, 1987). Lungo una striscia di spiaggia di 25 chilometri, un’espansione lineare, partita dall’unico centro abitato costiero vallivo, legato al porticciolo, che un tempo si chiamava Magnavacca (Magna Vacua, dall’ampia distesa di valli) sbocciava una proliferazione edilizia rapida che ha dato vita a sei nuove località turistiche, oltre al citato centro che aveva assistito allo sbarco di Garibaldi e che da lui prese il nuovo nome. Le paludi in cui perse la vita la povera Anita, da desolate ed abbandonate, sono divenute teatro di più di sei milioni di turisti annui, 21 non solo italiani e comunitari, ma anche dell’Est, che ritrovano su queste coste possibilità di svago economicamente convenienti. Le abitazioni secondarie, che connotano in maniera marcata e caratteristica questo tratto di riviera, sono sorte con uno sviluppo molto rapido ed hanno incontrato immediatamente un discreto successo per l’economicità dei suoli edificabili e della manodopera, che proveniva da un’area di stratificata disoccupazione. Il peso dell’occupazione in edilizia non solo era giunto, pian piano, a dominare gli altri settori di attività del comune di Comacchio, ma a determinare una connotazione occupazionale, che doveva, a sua volta, risentire dello smorzamento di una frenesia imprenditoriale, legata ad una contingenza economica e a precise condizioni territoriali (MENEGATTI, 1979) ben presto modificatesi, ingenerando, di conseguenza, una nuova disoccupazione, non più agraria e peschereccia, come quella che aveva determinato le lotte politiche, tese ad ottenere le bonifiche, ma prettamente edilizia. Parte della manodopera, espansasi in periodo di sfrenata costruzione, ma sovradimensionata pochi anni dopo, allorché cominciò ad apparire il fenomeno dell’invenduto, migra ora verso le grandi città o si trasforma in artigianato di manutenzione, allorché le villette, costruite in maniera rapida, cominciano a risentire degli attacchi del tempo. Gli alloggi, che sono nati per rispondere ad un crescente bisogno di vacanza, risultano oggi alquanto eccessivi rispetto all’attuale andamento della domanda, sia per un calo generazionale che per nuovi aspetti legati all’utilizzazione del tempo libero e allo sfruttamento delle ferie. Si assiste, di conseguenza, ad un ricambio molto rapido nei passaggi di proprietà, sia per la variazione dimensionale e strutturale della famiglia, sia per le modificazioni dei redditi e dei costumi: i nuovi alloggi si aggiungono sul mercato ai relativamente vecchi degli anni ’60 e ’70. Si è arrivati ad un patrimonio, al 1991, di quasi 27.000 alloggi (ISTAT, 1991) per sole vacanze, che rimangono d’inverno completamente disabitati, se si eccettuano quelle poche persone che vi risiedono per svolgere alcuni servizi. Le stazioni di più vecchia origine sono abitate stabilmente da pescatori e commercianti, ma ciò avviene in particolare sul porto.